Il capitano del Napoli, Lorenzo Insigne, si racconta a Rivista Undici, in un numero speciale dedicato alla città partenopea e in edicola da oggi. Tanti gli argomenti trattati dal numero 24 azzurro, di seguito vi proponiamo alcune delle sue dichiarazioni più significative:
“Mettevamo dei mattoncini come porte, si sapeva quando si cominciava e non si sapeva quando si finiva. Ci sono andato anch’io alla scuola calcio, lì mi hanno insegnato molte cose, non quelle che ho imparato per la strada. La gente si è sempre aspettata tanto da me. Ho cercato di ricambiare. Ho avuto degli screzi qualche volta coi tifosi e mi dispiace. Qualcuno non mi ha mai compreso al 100 per cento. Chi mi conosce davvero, sa come sono fatto”.
Oltre i pregiudizi – “Il più grande preconcetto nei miei confronti è sempre stata l’altezza. Al Torino, mi assicurarono che a 14-15 anni sarei andato da loro per un provino: partii, feci due-tre allenamenti, giocai una partita. Dopo mi dissero: ‘sì, bravo, ma onestamente ci aspettavamo che crescessi’. Mi mandarono a casa, e la stessa cosa successe all’Inter. L’unico che ha creduto in me è stato Peppe Santoro, al settore giovanile del Napoli“.
Rapporto con gli allenatori – “Zdenek Zeman è stato decisivo, il primo a credere in me. Benitez mi ha completato: avevo sempre pensato che per me il calcio fosse solo attaccare. Il calcio con Maurizio Sarri è gioia: mi sono divertito tanto nei tre anni con lui, ci è solo rimasta la delusione di non aver vinto lo scudetto. Su Ancelotti non è vero che non ci siamo presi. Avevamo idee diverse, questo sì, su cose di campo. A Gattuso devo tanto. Dopo gli anni di Ancelotti così così, è stato bravo a farmi tornare sui miei passi e a rimotivarmi. Luciano Spalletti è una personalità forte: ci ha restituito consapevolezza nella nostra forza”.
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