Nino D’Angelo e il docufilm “Nino. 18 giorni”: “A Roma sto bene, ma non è Napoli”

Il cantautore napoletano racconta la sua carriera, l'iconico caschetto biondo e la dolorosa decisione di lasciare Napoli a causa delle minacce della camorra.

In un’intervista concessa a Quotidiano Nazionale Nino D’Angelo accompagna l’uscita di “Nino. 18 giorni”, il docufilm firmato dal figlio Toni che approda nelle sale giovedì. Un ritratto intimo che attraversa l’intera parabola del cantante e attore: dagli inizi nel rione di San Pietro a Patierno fino ai riconoscimenti più prestigiosi della sua carriera.

Il film ripercorre la storia di chi è nato – come dice lui stesso – “per essere nessuno”, ma ha finito per diventare un simbolo popolare, parte della Napoli anni Ottanta più vivace, quella che celebrava Maradona, le sfogliatelle e il suo caschetto biondo.

Tre capitoli di una vita: l’amore, la paternità e lo scudetto del Napoli

Nell’intervista al QN, D’Angelo rievoca i tre momenti fondanti della sua esistenza. Il primo è l’incontro con Annamaria Gallo, la donna che gli ha cambiato la vita:
“Conobbi suo padre… Mi invitò a casa e, quando arrivò lei col caffè, pensai ‘maronna quant’è bella…’. Aveva 15 anni. L’ho sposata a 16 che era già incinta di Toni”.
La nascita dei figli, aggiunge, rimane uno dei ricordi più luminosi: “La paternità è stato il più bel momento della mia vita”.

Il terzo momento? Il trionfo calcistico che ha segnato un’intera città: “La gioia immensa per il primo scudetto del Napoli. Quello dell’86-’87”.

Dal primo disco a Parigi: la scalata artistica

Anche Nino elenca la sua personale triade di ricordi professionali:
“L’ebbrezza dello studio per le registrazioni del mio primo album… sentivo il sogno diventare realtà”.
E poi il debutto all’Olympia di Parigi nel 1987, un passaggio che lo colse impreparato:
“Ero completamente spaesato… quando realizzai la situazione, però, mi si piegarono le gambe”.

Il terzo evento è la vittoria del David di Donatello con Tano da morire. Una notte di ispirazione assoluta:
“Scrissi di getto ‘Senza giacca e cravatta’, una delle canzoni più belle del mio repertorio”.
Un brano che conquistò anche Pino Daniele: “Pino mi chiamò dicendo ‘cheste song ’e cose che hai a cantà…’”.

“Lasciai Napoli per la camorra”: l’avvertimento che cambiò tutto

Il titolo del docufilm richiama i 18 giorni trascorsi prima di poter vedere il figlio appena nato. Nino era in tournée e non poteva abbandonare la compagnia, unica fonte di reddito.
Ma tra i ricordi più duri c’è quello della violenza della camorra:
“Fu l’avvertimento della camorra… Il trasferimento da un lato m’ha frenato, ma dall’altro ha saputo farmi cambiare ottica”.

Il passaggio a Roma fu un’esigenza di sicurezza: “A Roma sto bene, ma non è Napoli”. E lo fu anche per Toni, liberato dalla “ombra ingombrante” di un padre diventato icona popolare:
“Più diventavo famoso, più gli facevo male”.

Il caschetto che divenne moda

D’Angelo ricorda anche il siparietto con il parrucchiere Enzo, una figura simbolica della sua immagine pubblica:
“Gli impresari dicevano: hai una buona voce, ma non sei proprio bello, ti serve un look… domandai ‘ma che, vulimme fà ’a Carrà?’”.
Un taglio che avrebbe conquistato un’intera generazione: “Di lì a poco diventò una moda e tutta Napoli si fece il caschetto”.

Sogni di teatro e un murales che racconta una città ferita

A 68 anni il cantante non smette di immaginare nuovi traguardi:
“Sarebbe bello ora omaggiare Eduardo interpretando ’Il sindaco del rione Sanità’ diretto da un grande regista”.

E il murales di Jorit che lo ritrae?
“Ho visto nelle facce dei ragazzi… la disperazione dei miei tempi. Un quartiere abbandonato… sapere che la sua gente ha voluto quel murales mi riempie di orgoglio”.

Una vita, come dice Nino, “da film”. E ora davvero lo è.

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