Mattia Furlani ha scritto la storia dell’atletica leggera italiana. Il 20enne laziale delle Fiamme Oro è diventato campione del mondo nel salto in lungo, conquistando l’oro nella finale dei Mondiali di Tokyo con la misura di 8,39 metri, nuovo primato personale.
Alle sue spalle il giamaicano Tajay Gayle, argento con 8,34, e il cinese Yuhao Shi, bronzo con 8,33. Con questo risultato, Furlani è entrato di diritto nella leggenda: nessuno prima d’ora aveva vinto un titolo mondiale a un’età così giovane nella specialità. Il record apparteneva a Carl Lewis, oro a Helsinki nel 1983 a 22 anni e 40 giorni.
Per l’Italia è un successo che mancava da troppo tempo. Nei precedenti diciannove Mondiali, il salto in lungo aveva portato solo un podio: l’argento di Andrew Howe nel 2007 a Osaka. Prima ancora, Giovanni Evangelisti a Roma nel 1987 ottenne un bronzo poi annullato per un errore di rilevazione, ma che resta nella memoria collettiva come simbolo di una generazione.
Con la vittoria di Tokyo, Furlani non solo riporta l’Italia sul gradino più alto del mondo, ma apre una nuova era per la disciplina.
Subito dopo la gara, il campione ha raccontato il suo stato d’animo:
“Tokyo è speciale, questo salto è servito per chiudere il cerchio. I giovani stanno crescendo, ma l’Italia resta spesso indifferente all’atletica. Oggi però abbiamo dimostrato che possiamo sognare in grande.”
Il suo trionfo non è soltanto un risultato sportivo, ma anche un segnale di speranza per una nazionale che negli ultimi anni ha trovato nuova linfa nelle discipline di salto e velocità.
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