Francesco Moser: “A quattro anni sono morto e poi risorto. Saronni? È un ipocrita. Facevo le trasfusioni perché si poteva”

Il campione trentino si racconta in un'intervista, ripercorrendo la sua carriera, la rivalità con Saronni e l'uso delle trasfusioni nel ciclismo.

In un’intervista concessa al Corriere della Sera, l’ex campione di Palù di Giovo ripercorre la sua incredibile parabola umana e sportiva, dalla caduta che lo segnò a quattro anni alla rivalità con Saronni, passando per un’infanzia contadina segnata da sacrifici e fratellanza.

Un’infanzia segnata da un incidente

Moser ha raccontato un episodio drammatico della sua infanzia: “Sono morto a quattro anni. Giocavo sul terrazzo dell’asilo, un’asse della ringhiera ha ceduto e sono volato giù per quattro metri. La maestra ha portato i bambini dentro a pregare il deprofundis. Quando mi sono svegliato, mi sono rimesso l’asse a posto e sono tornato a unirmi al deogratias. Lei gridava al miracolo”. È questo il primo ricordo di Francesco Moser: una caduta. Ma, come accadrà più volte nella sua vita, anche una risalita.

La rivalità con Giuseppe Saronni

Nel suo racconto la fatica è una costante, ma anche un valore. “Chi viene dalla campagna sa cosa significa lavorare davvero. Forse per questo in salita soffrivo fino alla morte: conoscevo il dolore, quello vero”, dice, quasi a rispondere alle polemiche che da decenni lo inseguono, in particolare quelle legate al Giro del 1984. A riaprirle, ancora una volta, è Giuseppe Saronni, il grande rivale, che da anni insinua che quel Giro gli fu regalato da un tracciato addolcito ad arte. Moser, stavolta, non si trattiene. “Non parlo di lui”, dichiara in apertura. Ma poi, incalzato, cede: “Saronni è un ipocrita. Dice di essere mio amico, poi va sui giornali a sparare cavolate. Se vuole il mio vino se lo paga. Ma pur di non tirar fuori i soldi, se lo fa regalare da Dino Zandegù”. L’astio è profondo, alimentato da decenni di frecciate. Anche tentativi di riconciliazione finiscono in nulla. “Alla Rai ci avevano chiamati per una trasmissione sulla sicurezza. Mi dicono che Beppe vuole far pace, andiamo a cena insieme. Tutto bene. Poi la settimana dopo apre di nuovo il Corriere e ricomincia con la solita storia: le spinte, il Giro, Conconi…”.

L’uso delle trasfusioni nel ciclismo

E proprio sul professor Francesco Conconi, l’uomo simbolo della scienza applicata al ciclismo e spesso finito nel mirino per le pratiche mediche adottate all’epoca, Moser è netto: “Sono appena stato alla sua festa per i 90 anni. È uno scienziato, un ricercatore vero. Le trasfusioni? All’epoca erano consentite, punto”.

Moser oggi

Oggi Moser è vignaiolo nel suo Maso Warth, in Trentino. “È una tradizione di famiglia. Mio padre fu il primo a piantare il Pinot Nero in valle. Oggi facciamo oltre dieci etichette di qualità. Ma attenzione: in campagna tutti parlano, pochi lavorano. Se i contadini smettono di produrre, la bolla del vino scoppia”. Nel vino, come nella vita, Francesco resta un uomo di sostanza. Orgoglioso dei figli (“Carlo è tornato da Ginevra per lavorare con me. Ignazio invece ha scelto un’altra strada con Cecilia Rodriguez, ma i figli vanno lasciati liberi”) e del nipote Matteo, enologo conteso da molte cantine. E l’amore? “È voler bene a qualcuno che ti vuole bene o che speri ti voglia bene. Con Carla è finita. Per quello ai matrimoni non ci vado: rivedo me stesso e mi chiedo se ne valga la pena”. Poi però aggiunge: “Oggi sto con Mara. Correva in Nazionale quando correvo io. Non ricordavo nemmeno il suo viso. Ma quando ci siamo ritrovati…”.

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