Paolo Simoncelli parla dell’incidente di Marco: “Quel giorno ho avuto un presagio. Volevo fermarlo. È il mio rimpianto”

Paolo Simoncelli, padre del compianto Marco, esprime preoccupazioni sul futuro del motociclismo e ricorda momenti significativi legati al figlio.

Quattordici anni dopo la tragica morte di Marco Simoncelli, il padre Paolo non riesce a distogliere il cuore dal dolore e dalla rabbia che, nonostante il tempo, continuano a tormentarlo. In un’intervista rilasciata al Corriere della Sera, Paolo parla del figlio con una lucidità che non attenua il dolore, ma che lo rende ancora più lacerante. Marco non è solo un ricordo, ma una presenza quotidiana, una figura che abita la casa e la vita di chi lo ha amato, come se la sua morte fosse solo un istante interrotto.

La presenza di Marco nella vita quotidiana

«Le ceneri sono in camera sua. Non è cambiato niente, dorme ancora lì», racconta Paolo, parlando del luogo dove Marco viveva prima della sua morte, e dove, in qualche modo, continua a vivere. La stanza del figlio è rimasta intatta, come un piccolo santuario a cui il padre e la madre si aggrappano. Per Paolo, Marco è ancora “lì”, anche nei sogni, come un’entità che attraversa la sua mente nei momenti di sonno. Tuttavia, Paolo preferisce non raccontare cosa gli dice il figlio in quelle notti sospese, come se il dolore fosse troppo intenso per essere tradotto in parole.

Il rimpianto del padre: “Avrei voluto fermarlo”

Uno dei ricordi più dolorosi per Paolo Simoncelli riguarda gli attimi che precedettero la morte di Marco, quando il destino sembrava voler parlare al padre, ma il tempo non gli ha dato la possibilità di agire. Il 29 ottobre 2011, il giorno dell’incidente che ha strappato via Marco dalla vita, Paolo ha vissuto quello che definisce un “presagio”. Quando arrivò alla griglia di partenza del Gran Premio della Malesia, il padre avvertì un’improvvisa sensazione di freddo, un vento gelido che «sapeva di morte». Paolo ricorda di aver pensato: «ca… lo vado a fermare». Ma non c’era più tempo. Il padre avvertì che qualcosa non quadrava, un segnale che purtroppo non riuscì a interpretare in tempo.

Il dettaglio che Paolo ripensa con più rimpianto è legato a un semplice asciugamano che Marco teneva sulla testa in modo errato. Un piccolo gesto, che per chi osserva da fuori potrebbe sembrare insignificante, ma per un genitore, per un uomo che vive nel mondo delle corse, si trasformò in un segnale. «Solo uno, quell’asciugamano del c… che Marco teneva in testa al contrario», racconta Paolo con rabbia e dolore. Una piccola distrazione che, a posteriori, gli appare come un presagio che avrebbe potuto fermare tutto, ma che non è riuscito a cogliere.

La rabbia contro il destino e la fede in bilico

La sofferenza di Paolo Simoncelli è accompagnata da una rabbia profonda, che non si placa nemmeno con il passare degli anni. La sua furia si rivolge soprattutto a Dio: «Sì, sono proprio incazzato. È distratto, dovrebbe stare più attento. Succedono cose che fanno troppo male, i genitori non dovrebbero mai sopravvivere ai figli». Questa rabbia non trova consolare nemmeno nella fede. Per Paolo, la morte di Marco è una ferita che non si può sanare, e nemmeno il conforto religioso riesce a lenirla.

Nonostante la rabbia, c’è una consapevolezza che, in qualche modo, lenisce il suo dolore: «Il destino di Marco era questo. Io e mia moglie abbiamo fatto di tutto affinché fosse felice, ed è morto mentre faceva una cosa che lo rendeva felice». Marco stava vivendo la sua passione, correndo, proprio come voleva, e questo è ciò che consente ai genitori di non cedere alla disperazione. La consapevolezza che il figlio stava vivendo il suo sogno, anche se il sogno si è interrotto tragicamente, è l’unico motivo che permette loro di non crollare definitivamente.

Una ferita che non si rimargina

Oggi, a quattordici anni dalla morte di Marco, Paolo e la sua famiglia continuano a convivere con una ferita mai rimarginata. Nonostante il tempo trascorso, il dolore rimane vivido e presente, un compagno costante di vita. Marco non è solo un ricordo, ma una presenza che abita la casa e i sogni, una presenza che non se ne va. La sua morte, il presagio avvertito dal padre, il rimpianto per non averlo fermato: sono sensazioni e pensieri che non svaniscono, ma che, purtroppo, accompagneranno per sempre Paolo Simoncelli.

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