Lele Adani: “De Zerbi si taglierebbe lo stipendio per me. Io e Vieri come gli Oasis? Mai”

Intervista a Lele Adani su Nazionale, giovani talenti e rapporti con Vieri.

Opinionista televisivo e ex difensore di Brescia, Fiorentina e Inter, Lele Adani si racconta in una lunga intervista al Corriere della Sera che spazia dal linguaggio del calcio alla Nazionale, dal rapporto con la comunicazione sportiva alle ambizioni future. Con la consueta schiettezza, Adani affronta temi caldi: la crescita del vivaio italiano, il ruolo degli allenatori, la sovrapposizione tra calcio e business e persino l’ipotesi — per lui irricevibile — di una reunion “rock” con Christian Vieri.

«Il pranzo al sacco? È venuto così, spontaneo»

L’intervista si apre con il curioso aneddoto della frase diventata virale, il «pranzo al sacco», con cui Adani commentò il gol di Tonali contro Israele: «Una cosa spontanea, un’espressione del gergo dei miei amici del paese per sottolineare un errore grossolano». Risposta su critiche e consensi: «Gli odiatori fanno rumore online, ma per strada ho ricevuto molto calore: dagli adolescenti agli ottantenni».

Nazionale e formazione: «Ci siamo fermati»

Sulla Nazionale, Adani è prudente ma fiducioso: «Ha lo spirito per andare al Mondiale, ma ci sono lacune che vanno colmate». E mette il dito nella piaga del sistema: «Nelle stanze dei bottoni ci raccontiamo di essere ancora i migliori a formare, ma non è così: ci siamo fermati». A sostegno della tesi cita l’esempio di nazioni più piccole ma più credibili nel trasformare i giovani in titolari nel calcio che conta.

Allenatori, corsi e barriere culturali

Sulla questione tecnico-formativa degli allenatori, Adani sottolinea l’esistenza di criteri stringenti («non tutti gli allenatori citati entrerebbero a Coverciano») che finiscono per essere barriere. La scarsa apertura al cambiamento frena la contaminazione di idee e impedisce a profili non lineari di emergere.

Il tema dei giovani: «Siamo tutti complici»

Adani torna più volte sul tema dell’impiego dei talenti: le nazionali giovanili italiane arrivano spesso lontano nei tornei, ma «poi i ragazzi stranieri diventano titolari nei club maggiori». L’esempio di Camarda è emblematico: «Invece di difenderlo come alternativa al Milan, lo mandiamo al Lecce. Siamo complici in questo sistema».

Calcio-business e agenti: «Il giochino»

Netta la posizione sugli intrecci economici: «Ci sono quattro-cinque intermediari che gestiscono il giochino del calcio. Non per forza conoscono i giocatori o le esigenze tecniche: quando tutto diventa operazione commerciale, la crescita sportiva ne soffre».

Dalla tv alla panchina: sogno o no?

Adani nega di voler tornare in panchina: «No, non allenerei. Forse in un ruolo nuovo, che unisca il calcio alla comunicazione», perché sente ancora una forte vocazione per il commento. Racconta di un amico allenatore disposto a ridursi lo stipendio per averlo con sé, ma precisa che la sua scelta è quella della comunicazione: «Romperò ancora le scatole parlando».

Tv, responsabilità e stile

Il passaggio dalla tv digitale alla Rai l’ha visto protagonista: «In Rai ho libertà e sento la responsabilità di parlare al Paese». Sulla figura dell’opinionista: «Se la pratichi come vocazione, meriti rispetto; bisogna approfondire, vivere i dissensi, non essere aridi».

Sulla presunta reunion con Vieri: «No, assolutamente»

Domanda divertente, risposta lapidaria: «Io e Vieri come gli Oasis? Assolutamente no». Nessuna nostalgia musicale, dunque: Adani tiene i piedi ben saldi nel campo e nella tv.

De Zerbi e la stima reciproca

A sorpresa, Adani svela una stima reciproca con Roberto De Zerbi: «Sì, De Zerbi si taglierebbe lo stipendio per avermi con lui», dice fra il serio e il faceto, a sottolineare il rispetto professionale e la vicinanza umana.

Conclusione: «Parlerò, romperò le scatole e continuerò a comunicare»

Il ritratto che emerge dall’intervista al Corriere della Sera è quello di un uomo di calcio che non rinuncia al confronto pubblico: critico, appassionato, consapevole dei limiti del sistema ma convinto del valore della comunicazione come strumento di cambiamento. «Non allenerò — chiude — ma continuerò a intervenire, a discutere, a provocare quando serve».

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